4. Laboratori di cucina

In nero i passi da compiere per raggiungere gli obiettivi di ciascun laboratorio..

In rosso i giochi per la costruzione del gruppo, per rompere il ghiaccio, per formare il gruppo.

In blu i suggerimenti per svolgere il lavoro vero e proprio.

In verde i riferimenti teorici.

In viola i giochi che introducono la parte sul digital storytelling.

4.1 Prima Sessione

Gli obiettivi generali della prima sessione sono:

• creare legami di gruppo in modo sereno, generando una sensazione di sicurezza, rispetto reciproco e comprensione per facilitare la condivisione di informazioni personali
• consentire ai partecipanti di valorizzare e condividere la propria cultura alimentare e le abitudini nutrizionali, e di scambiare queste informazioni con i corrispettivi del paese in cui si trovano, integrandole in un nuovo ambiente multiculturale
• citare i fatti storici, geografici (clima, coltivazioni, …) e sociali che hanno generato le differenze e le somiglianze
• individuare le differenze specifiche che creano le difficoltà più grandi per generare comprensione reciproca e accettazione
• definire cosa si intende per “buono” e salutare dal punto di vista nutrizionale, emozionale e mentale.

Presentazioni, esercizi di riscaldamento e accordo del gruppo

È molto importante considerare il gruppo di partecipanti come una piccola comunità e adattare le introduzioni e le attività di riscaldamento alle tipologie di persone che lo compongono, per incoraggiare la partecipazione e la condivisione.
Il facilitatore non deve incoraggiare competizioni di alcun tipo e non devono esserci gruppi vincitori, quindi i giochi vanno scelti di conseguenza, o eventualmente adattati.

Candy Introduction

Candy Introduction è un gioco che aiuta il gruppo a fare conoscenza attraverso lo scambio di informazioni personali in modo semplice. Si scelgono le proprie caramelle fra diversi tipi proposti pescandole da una borsa, ogni tipo di caramella è associato ad un fatto personale che sarà comunicato agli altri partecipanti.
Candy Introduction funziona con gruppi di ogni dimensione. Le attività di riscaldamento funzionano meglio in gruppi di massimo 12 persone.
Materiale richiesto: Caramelle con circa cinque diverse varianti (colori o tipi diversi), può essere utile una lavagna.

Preparazione della Candy Introduction

Acquistare diversi pacchetti di caramelle, in modo che ce ne siano almeno cinque per ogni partecipante. Possono essere caramelle di qualsiasi tipo ma non dovrebbe esserci troppa scelta (al limite cinque o sei varianti). In alternativa si può comprare un solo tipo di caramella che preveda colori differenti.

Istruzioni su come giocare

Far passare la borsa fra i partecipanti chiedendo a ciascuno di pescare da una a cinque caramelle fra quelle che preferiscono. Dare indicazione di non mangiarle per il momento. Dopo che tutti i partecipanti hanno scelto le loro caramelle, comunicare che cosa rappresentano i vari tipi/colori.
Scrivere sulla lavagna ciò che segue. I colori menzionati sono solo un esempio:

• Rosso: passatempi preferiti
• Verde: posto preferito sulla terra
• Blu, piatto preferito
• Giallo, lavoro dei sogni
• Arancio, Jolly (raccontare tutto di sè!)

Se non si hanno caramelle di questi colori adattare la lista al tipo di caramelle che si hanno a disposizione. A turno ogni persona si presenta cominciando con il proprio nome e dicendo qualcosa sulla base delle caramelle che ha in mano. Al termine del giro ciascuno dice il nome delle persone che ha sedute di fianco.

Altri giochi rompighiaccio si possono trovare qui: Getting to know you

Accordo di gruppo

È sempre importante dedicare del tempo alla definizione di un accordo di gruppo.
Una volta che i partecipanti hanno iniziato a fare gruppo grazie all’esperienza condivisa nell’attività di riscaldamento, è consigliabile dedicare del tempo alla definizione delle regole del gruppo stesso.
Gli accordi di gruppo rappresentano la base strutturale e funzionale per una sessione di lavoro di corretta e sicura.
Le domande più importanti a cui i partecipanti dovranno rispondere sono:

• a vostro avviso, cosa farebbe funzionare meglio questo gruppo/laboratorio?
• cosa servirebbe per rendere questo un posto sicuro e rispettoso in cui lavorare?
• cosa renderebbe questo gruppo un ambiente ideale per imparare?

I link seguenti forniscono alcuni suggerimenti su come creare un accordo di gruppo.

Proposta di accordo di gruppo

È importante accompagnare il gruppo nella raccolta delle risposte e dei contributi dei partecipanti.
Per esperienza i punti seguenti rappresentano alcune proposte sostanziali che andrebbero chiarite all’interno dell’accordo di gruppo che i partecipanti possono sviluppare seguendo un approccio partecipativo:

• assicurarsi che ciascuno contribuisca
• moderare le persone più loquaci
• invitare i più silenziosi a contribuire con le loro idee
• parlare uno alla volta, per alzata di mano e aspettando il proprio turno
• rispettare le opinioni altrui anche, e soprattutto, se non si condividono. Oltre al rispetto reciproco, è importante che i partecipanti abbiano rispetto per il ruolo del facilitatore e si attengano agli orari e al programma di lavoro.
• partecipare!
• garantire la riservatezza: nulla deve essere ripetuto al di fuori del gruppo
• essere consapevoli del tempo, rispettare gli orari o chiederne la modifica se necessario
• i telefoni dovrebbero essere spenti per evitare interruzioni
• fare delle pause regolari

Al link seguente si possono trovare informazioni sul metodo partecipativo e altri suggerimenti: http://www.participatorymethods.org/methods

Prendere nota dei paesi di origine di tutti i partecipanti.

Si può utilizzare una cartina geografica per questa parte.

Oppure usare un mazzo di carte con paesaggi famosi di ciascun paese.
Dopo aver mischiato le carte se ne consegna una coperta a ciascuno con la consegna di indovinare a quale paese corrisponde il paesaggio.

Il facilitatore deve studiare la cucina tradizionale dei paesi da cui provengono i partecipanti.
Deve conoscere le caratteristiche principali di ciascuno, quali sono i principali ingredienti di base, i metodi di cottura e le abitudini alimentari.
Queste informazioni sono necessarie per la buona riuscita del laboratorio.
È consigliabile nella fase di preparazione studiare la storia, la geografia e la religione per capire meglio ogni tipo di cucina.
Il facilitatore deve essere consapevole delle principali somiglianze e differenze, della “filosofia dei preparativi per cucinare” e dell’essenza di ciascuna tradizione culinaria. On line si possono trovare diversi articoli, scegliere quelli più appropriati sulla base del tempo che si ha a disposizione.
Il facilitatore potrebbe disegnare un diagramma con le informazioni di base da far completare ai partecipanti.

I partecipanti sono invitati a descrivere agli “stranieri” quale credono sia l’essenza della cucina del loro paese di origine. Lavorare a coppie e poi in gruppi di circa quattro persone.

Ciascun gruppo illustra agli altri il risultato del confronto interno, il facilitatore aiuta a farlo in un modo chiaro e coerente.
Prendere nota sulla lavagna delle caratteristiche che vengono menzionate.

Questa sessione può essere divisa in due per i tanti argomenti da affrontare.

Il primo incontro si può chiudere quando ciascun gruppo completa la presentazione.

Se il facilitatore lo ritiene, l’incontro successivo potrebbe cominciare con un gioco per condividere altre informazioni personali e continuare con la coesione del gruppo prima di proseguire con gli argomenti previsti.

Gioco: fare il pane
Fare il pane può essere usato come un gioco rompighiaccio.

Mantenere i gruppi della sessione precedente.

Fare il pane è un ottimo modo per cominciare, anche nel caso in cui si utilizzi una impastatrice automatica.

La macchina per fare il pane e l’impastatrice sono il modo più pratico perché spesso non si ha un forno a disposizione.

• I partecipanti parlano dei tipi di pane che si consumano nel loro paese di origine.
• Imparano la terminologia relativa agli ingredienti, i metodi di preparazione e la cottura del pane.
• I partecipanti parlano della differenza di costi fra il preparare il pane e comprarlo.
• Come può essere variata la ricetta originale per renderla più tradizionale/salutare?

C’è una ricetta che porta ad un buon risultato e che include le idee di tutti i partecipanti?

Si consiglia di indagare le abitudini alimentari in modo sistematico, prima in sotto gruppi, poi in plenaria. Come indicazione generale, è buona pratica che il facilitatore comunichi ai gruppi gli argomenti da discutere, anche scrivendo il programma sulla lavagna. È anche compito del facilitatore il tenere sotto controllo il passare del tempo e a concentrarsi sui risultati.

Altri argomenti che facilitano la condivisione sono:
• i pasti, quanti, quali, quando
• stili di apparecchiatura della tavola,
• modalità di condivisione del cibo,
• combinazioni degli alimenti,
• ruoli di genere,
• i luoghi della spesa (supermercati, mercati rionali. produttori locali…).

Le informazioni raccolte vengono scritte sulla lavagna.
A questo punto non è opportuno valutare i contributi dei partecipanti dando indicazioni su quali combinazioni di alimenti siano considerate più salutari delle altre. È importante trattare con attenzione le informazioni che riguardano i ruoli di genere sottolineando le diversità, chiedendo ai partecipanti se sentono il bisogno di adattarsi ai ruoli di genere occidentali e di motivarne la risposta. Prestando attenzione a mantenere la discussione nell’ambito dell’alimentazione.

Per il ruolo svolto, il facilitatore si concentrerà sulle somiglianze e sulle differenze.

I contributi dei partecipanti che sono stati raccolti sulla lavagna consentono di condividere in gruppo su quali siano le differenze che creano maggior difficoltà di adattamento, in modo da promuovere la comprensione reciproca e l’accettazione.

I risultati della condivisione rappresentano le “differenze” che sarebbe bene conservare e far adottare a tutti, suggerendo i comportamenti che potrebbero aiutare a far cambiare l’approccio nutrizionale a tutti i membri del gruppo indipendentemente dal luogo di origine.

Per esempio, le persone che provengono dall’Africa o dal Medio Oriente di solito consumano più frutta e verdura e sono più abituate a cucinare e condividere il cibo rispetto agli occidentali, che invece mangiano sempre più spesso alimenti industriali (processati).
Il mantenere vive le abitudini che spesso abbandonano nel processo di accettazione dagli abitanti locali sono elementi significativi dell’identità, che tendono a smarrirsi nel corso delle generazioni: di solito sono i bambini che, quando cominciano ad andare a scuola, copiano le abitudini alimentari dei loro compagni di classe e armonizzandosi al nuovo.

La definizione di cosa consideriamo “buono” e salutare, dal punto di vista nutrizionale, emotivo e mentale, tiene in considerazione anche il fattore economico.
Ulteriori informazioni su sane abitudini alimentari vengono fornite in appendice.

Ogni tradizione culinaria ha proprie caratteristiche generali che si ritrovano nelle varie “filosofie delle preparazioni culinarie”.
Tenendo conto delle ragioni storiche, geografiche e religiose di queste tradizioni, il facilitatore chiarisce che ogni pietanza è un vero e proprio viaggio nel tempo e che riflette il clima, la storia di un luogo e la classe sociale in cui nasce la ricetta.

Questo implica, come specificato precedentemente, che il facilitatore debba essere ben preparato, dato che sarà suo compito guidare i partecipanti nell’espressione di queste informazioni.

Un modo per farlo è assegnare ad ogni sotto-gruppo una ricetta tradizionale (si possono utilizzare ricette delle diverse tradizioni) e chiede ai partecipanti di “scoprire”:
• i motivi cha hanno guidato la scelta di un determinato metodo di cottura (saltato, fritto, bollito,…), e su che base sono stati scelti gli ingredienti.
• l’origine del piatto, se rurale o proveniente da un contesto urbano
• se ci sono elementi che hanno influenzato/contaminato culturalmente la ricetta originale

È evidente come sia importante tenere sempre in considerazione le ragioni storiche, economiche, geografiche e religiose dei vari partecipanti, facendo molta attenzione a evitare pregiudizi e giudizi.

4.2 Seconda Sessione

Gli obiettivi generali della seconda sessione sono:

• ottenere le informazioni necessarie alla facilitazione del laboratorio e che permetteranno al facilitatore di soddisfare i bisogni dei partecipanti con cui sta lavorando.
• aiutare i partecipanti a condividere le loro esperienze e le loro abilità.
• sviluppare menù e pasti che siano sostenibili economicamente, gustosi e nutrienti.
• prendere il meglio dei prodotti locali e stagionali.
• suggerire ingredienti alternativi a quelli originali che non siano facilmente reperibili nella nuova comunità o aiutare a coltivarli.
• promuovere una dieta sana per proteggere dalle malattie legate alla malnutrizione e in questo modo migliorare la salute.
• acquisire competenze di base in dieta nutrizionale ed economia domestica.
• anche in questo caso, la lingua potrebbe essere un problema: è quindi importante integrare un supporto linguistico per favorire l’apprendimento dei nomi degli ingredienti e della terminologia culinaria di base.

Per facilitare la conoscenza reciproca il gruppo viene invitato a partecipare a un gioco che permetta un ulteriore scambio di informazioni personali. L’attività che segue si gioca in un cerchio che comprende tutti i partecipanti in plenaria.

Gioco di riscaldamento “Ricorda i Nomi”

Questo gioco è consigliato nel caso in cui i partecipanti siano giovani. Il gruppo viene suddiviso in sotto-gruppi di tre o quattro persone. Una volta disposti in cerchio, i presenti si presentano e ciascuno aggiunge al proprio nome un’informazione da condividere che sia caratteristica della propria storia o della propria individualità, ad esempio utilizzando aggettivi qualificativi. Ogni partecipante a turno ripete nome e informazione della persona che la precede, e poi aggiunge il proprio nome ed un aggettivo. Il partecipante successivo a sua volta ripeterà i primi due nomi e le caratteristiche correlate e quindi aggiungere il proprio nome e l’informazione che lo caratterizza, e così via, fino a quando l’ultimo membro ripeterà tutti i nomi e tutte le informazioni.

Esempio:
John dice: “Ti chiami Mary e ti piace passeggiare, tu sei Peter e giochi a tennis, Katie, ti piace vestirti in modo buffo, e io sono John e odio i ragni.”

Questo gioco si basa sul metodo sviluppato dal progetto “i-DIGital Stories – Stories Educational Learning Facilities”, finanziato dal programma Erasmus + della Commissione Europea.

Si consiglia di creare piccoli gruppi di tre o quattro persone per ogni attività utilizzando dei giochi.

Tutto il lavoro durante il laboratorio si svolge in piccoli gruppi e viene presentato agli altri nella parte conclusiva.

Gioco: salato, piccante, dolce, aspro

Usare il cibo è sempre divertente. Gli individui, in quanto tali, hanno gusti diversi, cui si aggiungono le abitudini culturali.

Istruzioni: usare ogni tipo di ingrediente che abbia un profumo o un sapore caratteristico, badando che ci siano tanti ingredienti a disposizione quanti sono gruppi, ad esempio sale, peperoncino… e così via. Posizionare gli ingredienti nell’area di lavoro dei gruppi e chiedere ai partecipanti di scegliere il sapore che preferiscono.

Variante: In alternativa è possibile dividere il gruppo facendo scegliere il frutto preferito o la pietanza favorita fra quelle più conosciute, oppure posizionare su ciascuna postazione uno snack diverso e vedere dove si posizionano le persone. A seconda del contesto questo potrebbe essere un buon momento per usare snack etnici.

Una volta formati i gruppi chiedere alle persone di guardarsi intorno e notare se:

• i gruppi sono uniformi
• sono evidenti qualche tipo di tendenza culturale
• se il posizionamento dipende dai gusti individuali
• la scelta dipende da una preferenza spiccata per il sapore scelto
• nel caso, è possibile indagare su cosa, nella loro vita, abbia portato ad apprezzare quel sapore
• infine, si può chiedere se questo esercizio possa migliorare la loro autocoscienza culturale

https://blog.culturaldetective.com/2013/06/18/10-surefire-ways-to-divide-into-groups

A questo punto ogni gruppo parla degli argomenti seguenti, che saranno scritti sulla lavagna, e risponde per iscritto.

1) Come i partecipanti pensano di poter aiutare il programma di lavoro
2) quali è l’elenco dettagliato delle qualifiche in possesso ai partecipanti e dove sono state apprese (a scuola, all’università, durante progetti di formazione o acquisite per esperienza …)
3) quali sono le competenze che i partecipanti si aspettano di aver bisogno di acquisire per aiutarti a diventare un membro della comunità.

Quindi si comunicano agli altri le abilità che si desidera imparare.

Le risposte aiutano il facilitatore a capire meglio i partecipanti e ad affrontare gli argomenti in linea con i bisogni e le competenze.

• Imparare i nomi degli ingredienti e la terminologia culinaria di base nella lingua del paese ospitante.
• Preparare del semplice materiale scritto come dei glossari, che saranno completati dai partecipanti durante il laboratorio.

Sarebbe molto utile per i partecipanti avere, all’inizio dei laboratori, dei taccuini per il glossario da poter consultare in caso di bisogno.

• Mettere in rilievo gli ingredienti del paese ospitante con una particolare enfasi sulla loro convenienza e valore nutrizionale.
• Definire le regole di base per una dieta nutriente, importanza della stagionalità degli ingredienti locali.

Il facilitatore può spiegare come i bisogni nutrizionali dipendano fortemente dal clima e paragonare gli ingredienti del paese ospitante con quelli del paese di origine, illustrando quali problemi di salute potrebbero insorgere se non si presta la necessaria attenzione.

Tutte le informazioni necessarie si trovano in appendice.
Il facilitatore presenta un grafico in cui si evidenziano i bisogni nutrizionali richiesti da ciascun paese, potrebbe essere utile per i partecipanti identificare e prendere nota delle similitudini e delle differenze, al fine di creare un menù settimanale ideale per contrastare i problemi di salute che potrebbero insorgere, in modo da essere più consapevoli dell’importanza del clima e della stagionalità. Si possono usare dei video o delle immagini per illustrare i problemi di salute menzionati.

Ciascun partecipante scrive il suo menù settimanale attuale indicando quante volte alla settimana mangia ciascuna categoria alimentare.

Gioco: Amore/Odio

I partecipanti scrivono cinque cose che amano e cinque che odiano per leggerle poi agli altri membri del gruppo.
I partecipanti passano quindi a raccontare cosa provano nei confronti degli elementi inseriti nella propria lista. Le liste possono elencare le cose più disparate (una sensazione, una qualità, un ingrediente, una pietanza…). Dalle liste che sono state stilate grazie a questo esercizio possono nascere delle buone storie, il formatore può essere di aiuto nell’elaborazione dei dettagli.

L’esercizio aiuta la coesione di gruppo e, allo stesso tempo, è molto utile per la preparazione delle digitial stories durante le quali i partecipanti dovranno trasmettere le loro sensazioni ed emozioni attraverso la loro voce.

Questo gioco si basa sul metodo sviluppato dal progetto “i-DIGital Stories – Stories Educational Learning Facilities”, finanziato dal programma Erasmus + della Commissione Europea.

A questo punto ciascun gruppo crea un menù settimanale alla luce di quanto appreso su come debba essere una dieta salutare e nutriente, tenendo in considerazione anche i fattori economici e religiosi.

In appendice si trovano i suggerimenti per creare un menù “ideale”, che possono essere utili nella creazione di un menù che soddisfi i bisogni delle persone con cui sta lavorando il facilitatore.

Come ulteriore passo, è possibile verificare quali ortaggi provenienti dai paesi di origine possano essere coltivati nel paese ospitante per facilitare il riappropriarsi attraverso il gusto del “sentirsi a casa”. Le persone del posto parlano degli ingredienti tipici del proprio paese. Si prosegue estendendo il discorso alle verdure e ai modi usati per prepararle.

Parlare di cibo “selvatico”.

Il facilitatore può decidere se affrontare o meno l’argomento.

Nel caso positivo, è suggeribile eventualmente consultare un orticoltore.

L’attività riguarda la degustazione ad occhi bendati di cibo selvatico, quali verdure o erbe, sia cucinate che crude.

L’argomento “agricoltura di comunità”

consente di valutare e creare le condizioni per sviluppare un orto di comunità o aggregarsi ad uno esistente nell’area di accoglienza o in altri spazi disponibili collaborando con altri gruppi che sono già attivi nella zona.

I facilitatori spiegano al gruppo l’importanza di creare un orto di comunità o collaborare ad uno esistente come possibile fonte di cibo a costo contenuto e di prodotti freschi e altamente nutrienti.
È anche una possibilità per i nuovi arrivati di entrare a far parte della comunità locale in modo utile e creativo a beneficio di tutti.

L’agricoltura di comunità consiste in una comunità di individui che si impegnano a sostenere economicamente un’azienda agricola in modo che il terreno diventi, legalmente o idealmente, la fattoria della comunità, con i coltivatori e i consumatori che si supportano mutualmente e condividono i rischi e i benefici della produzione degli alimenti.

Di solito i membri (in alcuni casi detti anche “azionisti”) dell’azienda agricola o dell’orto versano una quota in anticipo per sostenere i costi di gestione e pagare il salario ai coltivatori. In cambio ricevono una quota di quanto ricavato durante la stagione del raccolto così come la soddisfazione di aver riguadagnato il contatto con la terra e l’aver partecipato direttamente alla produzione del cibo. D’altra parte si condividono anche i rischi dell’agricoltura, inclusa una produzione scarsa a causa di condizioni meteo sfavorevoli o malattie delle piante. Con la vendita diretta ai membri della comunità, che hanno versato le loro quote in anticipo, i coltivatori riescono ad ottenere un profitto maggiore dalla vendita dei loro prodotti, godendo di una sicurezza finanziaria al riparo dalle insidie del mercato.

Queste informazioni si possono condividere usando dei video o invitando qualcuno che lavora in una fattoria di comunità o in un orto.
Siccome i membri dei gruppi di solito non possono sostenere finanziariamente l’acquisto delle quote, la comunità valuta la possibilità che chi è interessato possa contribuire con un’offerta in lavoro invece di denaro.
Per questo si consiglia al facilitatore di individuare in anticipo delle fattorie di comunità o degli orti, e di contattare altre persone competenti.
Se non esiste niente del genere nel proprio territorio, si può pensare di proporre al gruppo la possibilità di trovare un posto adatto e cominciarne uno. Non è fra gli obiettivi del laboratorio organizzare degli orti di comunità, ma è importante far conoscere ai partecipanti che esiste questa possibilità nel caso fossero interessati.

4.3 Terza Sessione

Gli obiettivi generali della terza sessione sono:

• gestione efficiente del budget domestico comprando alimenti convenienti ma nutrienti e cucinare cibo salutare.
• apprendimento di ricette e pratiche per cucinare pasti gustosi e nutrienti usando il meglio dei prodotti locali e di stagione, delle erbe aromatiche e delle spezie.
• incontro tra le tecniche culinarie espressione delle tradizioni dei partecipanti e avere una comprensione più profonda della cucina del paese ospitante.
• preparazione e condivisione di un pasto combinando il meglio di quanto portato dai locali e dai nuovi venuti.
• condivisione di esperienze e competenze.
• piacere di cucinare e mangiare insieme.

Ripetere i nomi dei partecipanti con un gioco semplice.
Usare una pallina che i partecipanti si lanceranno a vicenda. La persona che prende la palla deve dire il nome della persona che l’ha lanciata, aumentando progressivamente la velocità.

Per iniziare, il facilitatore suddivide i partecipanti in tre gruppi di quattro persone.
Tutto il lavoro si svolge in questi piccoli gruppi e viene presentato e discusso nella parte conclusiva in assetto plenario.

Dividere le squadre usando delle carte da gioco (verdure, legumi, cereali).

Quattro carte verdura, quattro carte cereali, e così via, sono distribuite a tutti in modo da formare gruppi più piccoli. Il facilitatorre deve considerare che, per raggiungere il risultato desiderato, in ciascun gruppo dovrebbero essere presenti persone di paesi differenti.

In caso non si creino gruppi eterogenei, è possibile operare i cambiamenti necessari per far sì che in ciascun gruppo sia presente almeno una persona del posto, che conosce in modo istintivo la cucina locale e sarà d’aiuto nella realizzazione dell’obiettivo del laboratorio.

Ripassare i glossari

con un semplice gioco di carte.

Usando come base le tre categorie di alimenti che sono già state menzionate (verdure, legumi, cereali) vengono formati tre gruppi di quattro persone. Ciascuno nel proprio sottogruppo annota due pietanze tipiche di ogni paese per ogni categoria di alimento (una che richiede la cottura e una no). Questa attività incoraggia a parlare dei propri ricordi e aiuta i partecipanti a adattare gli ingredienti che servono al piatto con quello che si ha a disposizione nel paese ospite.

Il facilitatore, attraverso dei suggerimenti, invita i partecipanti a concentrarsi su uno stesso ingrediente principale per ogni piatto o può chiedere dall’inizio di lavorare su uno specifico cereale, verdura o legume. In questo modo l’attività è più strutturata e controllata. Ai partecipanti può essere chiesto di concentrarsi solo sugli ingredienti che si hanno a disposizione.

L’esempio seguente sarà chiarificatore.
Ad un gruppo di quattro persone provenienti da paesi diversi viene assegnata come categoria alimentare la verdura.
Si comincia a parlare dei piatti a base di verdura, sia che richiedano cottura sia che no.
I commenti del facilitatore guidano i locali ad aiutare i nuovi arrivati a cambiare gli ingredienti che sono troppo costosi o fuori stagione e a concentrarsi su piatti che contengono la stessa verdura.
Come risultato ogni gruppo proporrà quattro piatti che necessitano di cottura e quattro da consumare crudi, due per ogni paese.

È possibile quindi evidenziare somiglianze e differenze, che saranno probabilmente diventate più specifiche essendo in relazione con le ricette. Si lavora prima in piccoli gruppi e poi tutti insieme.

Si suggerisce di prestare attenzione al confronto tra le materie prime e le tecniche di cottura, le erbe aromatiche e le spezie utilizzate, su quando vada servito il piatto (se come pietanza principale o contorno). Tutte queste informazioni sono raccolte dal facilitatore che le annota sulla lavagna.

Quindi ogni gruppo prende ispirazione da tutti e quattro i piatti che hanno bisogno di cottura per creare una sola pietanza che sia conforme al metodo di cottura e alla filosofia della cucina del paese ospitante. Si fa lo stesso con i quattro che non hanno bisogno di cottura.

Come risultato ci saranno tre piatti che hanno bisogno di essere cucinati e tre che vanno serviti crudi, per un totale di sei piatti.
La persona locale in ciascun gruppo guida il resto dei partecipanti con l’aiuto del facilitatore.
È il gusto della persona del posto, legato alle tradizioni locali, ad aiutare il gruppo a modificare i piatti.

Si dovrebbe mettere in evidenza la filosofia del cucinare del paese ospitante e la disponibilità di prodotti stagionali per aiutare il gruppo nella creazione dei nuovi piatti.

Ciascun gruppo prende nota dei nuovi piatti facendo uno “schema della ricetta” per ciascuno.

Lo schema rappresenta la ricetta di un piatto in modo semplice e creativo e il facilitatore ha l’opportunità di chiedere al gruppo di fare i cambiamenti necessari per bilanciare il piatto dal punto di vista nutrizionale. Con questo sistema può essere fatto facilmente e velocemente. Si può usare un foglio piccolo come un foglio grande per ogni schema. Il facilitatore chiede a ciascun gruppo di fare una lista degli ingredienti necessari per entrambi i piatti e di consegnarli.

Il facilitatore scatta una foto a ciascuno schema per prendere nota della ricetta. Le liste servono al facilitatore per fare la spesa necessaria alla successiva sessione di cucina.

Gioco: Il gioco delle parole non correlate

In questo gioco i partecipanti devono creare una storia partendo da parole non correlate fra loro. Ciascun partecipante di ciascun gruppo scrive, disegna o dice ad alta voce una parola che gli viene in mente. Si dovrebbero usare cinque parole scelte fra gli ingredienti delle ricette e cinque casuali. Il formatore raccoglie le parole di ciascun gruppo e le scrive sulla lavagna in modo che tutti possano vederle.

Parole del primo gruppo Parole del secondo gruppo Parole del terzo gruppo Parole del quarto gruppo

Quindi ciascun gruppo scrive una storia coerente usando tutte le parole sulla lavagna. Ciascun partecipante contribuisce con una frase che sia coerente con quanto scritto precedentemente. Il gioco finisce quando si decide che la storia è completa. Non è importante la qualità della storia, più surreale e forzata è più diventa interessante. Questo esercizio aiuta i partecipanti a rilassarsi e, allo stesso tempo, mette in evidenza le varie caratteristiche di una storia di questo tipo (lunghezza, struttura, semplicità).

Esempio: le storie create, siccome contengono degli ingredienti, saranno incentrate sul cibo.
Parole: mela, occhiali, orologio, lungo, auto, rosa, legno, scarpe
La signora Wood guardò l’orologio e realizzo di avere solo dieci minuti prima del suono della campanella. Era impaziente di mangiare la piccola mela rosa che aveva trovato nel sedile posteriore della sua auto insieme alle scarpe che aveva perso all’inizio della settimana, e al suo borsellino, che sfortunatamente non conteneva denaro. Guardò la mela e si chiese da quanto tempo fosse stata lì. Era affamata e non aveva denaro, non aveva altra scelta che mangiarla. “Forse è arrivato il momento di andare dall’oculista” disse a sé stessa, “forse mi servono gli occhiali”.

Questo gioco si basa sul metodo sviluppato dal progetto “i-DIGital Stories – Stories Educational Learning Facilities”, finanziato dal programma Erasmus + della Commissione Europea.

Per il facilitatore è possibile controllare se ogni ricetta segue le regole di base di una dieta nutriente secondo le indicazioni presentate durante la seconda sessione e fare gli opportuni cambiamenti.

In appendice si trovano le regole di base di una dieta nutriente, possono essere usate come guida per aiutare il gruppo a stabilire i cambiamenti che idealmente andrebbero fatti e a capire quali di essi siano realizzabili economicamente o per altri motivi.

Prima viene fatto in piccoli gruppi e poi tutti insieme.

Verranno preparati solo i piatti che non necessitano di cottura basandosi sugli ingredienti disponibili. Potrebbe essere necessario fare alcuni cambiamenti.

Le verdure stagionali, la frutta, le erbe e le spezie devono essere preparati in anticipo, così come lo zucchero, il miele, l’aceto, l’olio e così via.
Se sono inclusi cereali e legumi è necessario prepararli in anticipo.

Sono state fornite informazioni dettagliate su come preparare il laboratorio “cucina”, gli ingredienti di base e la strumentazione necessaria.
In appendice si trovano informazioni di sicurezza alimentare.

Si mangia insieme, si pulisce l’area di lavoro e si lavano i piatti.

4.4 Quarta Sessione

Gli obiettivi generali della quarta sessione sono:

• migliorare il livello della salute imparando le proprietà e l’uso di erbe aromatiche e spezie
• applicare le competenze di base in dieta nutrizionale
• rivedere i nomi delle materie prime e la terminologia culinaria di base e creare un glossario di erbe aromatiche e spezie.
• attraverso il contributo dei partecipanti e l’accettazione nel team multiculturale si aumenta l’autostima apprezzando il proprio retroterra culturale e si ha una maggiore consapevolezza di sé sviluppando la creatività personale e del gruppo.
• lo scambio di conoscenze culinarie aumenta il rispetto di sé e il rispetto per gli altri.
• combinare le tecniche gastronomiche delle varie tradizioni culinarie per capire meglio la cucina tradizionale dei nuovi arrivati.
• preparare e consumare un pasto insieme.
• incoraggiare i partecipanti a condividere altre informazioni su loro stessi sfruttando gli aspetti emozionali che vengono alla luce durante le attività, in preparazione della sessione dedicata al digital storytelling

Si consiglia di incominciare la sessione di lavoro con la preparazione dei piatti selezionati durante la sessione precedente e che devono essere cotti.

Gli ingredienti sono stati preparati in anticipo avendo deciso durante la sessione precedente quali piatti preparare.
I gruppi rimarranno gli stessi che hanno creato la ricetta. Iniziando a parlare e a prepararsi per cucinare i partecipanti potrebbero decidere di apportare cambiamenti e correzioni per rendere il piatto davvero gustoso. Mettere il cibo da parte.

Dopo aver cucinato è possibile cambiare la formazione dei gruppi con un semplice gioco.

In una borsa mettere quattro diversi tipi di erbe aromatiche o spezie o entrambi, tanti quanti sono i partecipanti.
Per esempio quattro rametti di salvia, quattro stecche di cannella e così via, quindi si chiede a ciascuno di pescare nella borsa senza guardare. Coloro che hanno pescato la stessa cosa formano un gruppo. Ci saranno quindi tre gruppi formati da quattro persone.

Gioco: ricordi dell’infanzia

Il formatore chiede ai partecipanti di pensare ad un piatto che hanno amato durante la propria infanzia, o uno che non sopportavano. Quando tutti avranno trovato la pietanza in questione nei propri ricordi, verrà chiesto di raccontare una breve storia legata a quel piatto.
Un narratore può creare molte storie da un esercizio come questo. Se la storia nasce da un ricordo d’infanzia è più facile da raccontare e nello stesso tempo si condividono con le altre persone dettagli della propria vita. È un esercizio che può rivelare la personalità, si scopre chi è stato un ribelle, una persona passiva, un esploratore o un leader.

Esempio:
Quando ero bambina mi piacevano molte pietanze, ma quella che nei miei ricordi era superiore a tutte le altre erano le lasagne fatte in casa da Elisa la mamma di una mia amica. Elisa era originaria del nord Italia e la sua cucina era eccezionale. Ma le lasagne che preparava erano meravigliose, almeno nei miei ricordi.

Passavo molto tempo nella sua cucina, dato che sua figlia Luciana era la mia migliore amica. Così non ho un ricordo prezioso solo del piatto, ma di tutto il contesto: la mia amicizia con Luciana, l’atmosfera di casa sua e le tante volte che eravamo presenti mentre Elisa cucinava. Naturalmente le lasagne erano preparate da zero. Ricordo perfettamente come impastava la pasta su una larga tavola di legno fino a formare un grosso rettangolo che veniva poi tagliato nei rettangoli più piccoli che sarebbero andati a formare gli strati alternati del piatto. Molto spesso noi bambine venivamo incoraggiate e stendere da sole la pasta con un matterello lungo e sottile, era necessaria molta forza per delle piccole braccia e il lavoro veniva invariabilmente finito da Elisa.

Una volta finito di stendere la pasta Elisa trasferiva la tavola con l’impasto in un luogo fresco per farla asciugare. Non era un piatto da mangiare lo stesso giorno che veniva preparato! Dovevamo aspettare e ricordo l’eccitazione quando alla fine venivo di nuovo invitata, questa volta per cena, e veniva servita quella leccornia: pasta fresca con un sugo squisito fatto con carne macinata, pomodori maturi ed erbe aromatiche…
Inutile dire che non ho mai più mangiato delle lasagne così meravigliose.
(Scritto da Nancy Katsigiannis)

Questo gioco si basa sul metodo sviluppato dal progetto “i-DIGital Stories – Stories Educational Learning Facilities”, finanziato dal programma Erasmus + della Commissione Europea.

Tutti i partecipanti condividono le loro storie e poi ciascuno sceglie:
• un’erba aromatica e una spezia che meglio rappresenti la cucina del proprio paese d’origine.
• un’erba aromatica o una spezia che annusandola faccia “sentire a casa”.

Questa attività è spontanea e non dovrebbe richiedere ulteriori spiegazioni, anche se richiesto. Se ci fossero problemi di lingua dare una spiegazione semplice.

La condivisione avviene prima all’interno del proprio gruppo, e in seguito con tutti.
Il discorso può essere ampliato all’uso delle spezie e delle erbe aromatiche in tutte le tradizioni gastronomiche, partendo dai piatti del giorno prima.
Si suggerisce di portare l’attenzione sulle somiglianze e sulle differenze con cui si combinano gli ingredienti con le erbe aromatiche e le spezie e in che modo queste vengono usate in cucina.
L’atto di assaggiare ed annusare le erbe aromatica e le spezie.

Si può trasformare in un gioco se fatto con gli occhi bendati.

Il facilitatore scrive sulla lavagna una lista e un glossario delle erbe aromatiche e delle spezie di cui si è parlato, mentre i partecipanti ne prendono nota nei loro quaderni.

Il facilitatore presenta le varie erbe aromatiche e spezie con delle immagini, siano esse proiettate su uno schermo o su carta.

Il facilitatore può raccontare aneddoti sulle miscele di spezie famose, chiedere le ricette ai partecipanti e prepararne alcune da usare in cucina.

Esempi di miscele:
• aglio, pasta allo zenzero
• garam masala
• ras el hanout

Le ricette si trovano facilmente online. Come sempre, è importante che il facilitatore si sia preparato in anticipo e che ci siano tutte le spezie che servono.

La spiegazione delle proprietà delle più comuni erbe aromatiche e spezie e la loro importanza per la salute include anche il passaggio di informazioni su:
• modo migliore di usarle
• uso del sale grezzo e dello zucchero non raffinato.
• modalità di utilizzo di come ingredienti con un relativo basso potere nutrizionale possano migliorare il loro valore nutritivo e avere effetti benefici sulla salute con l’aggiunta di erbe aromatiche e spezie.
In appendice vengono trattati tutti questi argomenti

Sulla base delle erbe aromatiche e delle spezie precedentemente scelte il facilitatore chiederà ai partecipanti di annotare (si lavora sempre negli stessi tre gruppi di quattro persone): due piatti tipici del loro paese d’origine a base di verdure, di legumi o cereali nei quali è dominante l’erba aromatica o la spezia preferita. Quindi scegliere quelli con un più alto valore emotivo.

Chiedere a ciascun gruppo di lavorare su una delle categorie alimentari.
Come risultato si otterranno quattro piatti per ciascun gruppo, dodici in totale.

Il facilitatore può quindi chiedere a ciascun gruppo di scegliere due piatti del paese ospitante, uno che deve essere cucinato e uno da servire crudo, che richieda per quanto possibile gli stessi ingredienti, in particolare le stesse erbe aromatiche o spezie scelte in precedenza.

Si avranno quindi sei piatti.
È suggeribile la disponibilità di tanti libri di cucina quanti sono i gruppi in supporto a questo compito. Sarà ovviamente più facile se le ricette sono semplici. Dare un libro a ciascun gruppo e con l’aiuto dei loro glossari i partecipanti sceglieranno le ricette con cui lavorare. Gli abitanti locali potranno essere di aiuto.

Ciascun gruppo deve modificare la ricetta scelta dal libro in modo da renderla compatibile con la cucina del paese di origine dei nuovi arrivati per avere infine sei nuovi piatti.

Se necessario il facilitatore proporrà una ricetta preparata in precedenza. I nuovi arrivati sapranno istintivamente quali modifiche apportare per rendere il piatto di loro gusto, quindi sarà sufficiente seguire le loro indicazioni.
Il facilitatore può aiutarli a capire che “il cibo può essere fonte di piacere o riportare alla memoria avvenimenti del passato ma spesso apre nuovi orizzonti quando assaggiamo qualcosa per la prima volta”.

Ciascun gruppo è invitato ad usare lo “schema” per le ricette come nella sessione precedente.

Controllare che siano piatti completi dal punto di vista nutrizionale e fare i cambiamenti necessari per utilizzare ingredienti di stagione. Il facilitatore chiede a ciascun gruppo di fare una lista degli ingredienti necessari per entrambi i piatti e di consegnarli.

Il facilitatore scatta una foto a ciascuno schema per prendere nota della ricetta. Le liste servono al facilitatore per fare la spesa necessaria alla successiva sessione di cucina.

Domanda su cui meditare in previsione dell’incontro successivo

Le erbe aromatiche e le spezie possono essere uno strumento per promuovere la comprensione reciproca, per avvicinare le persone, per accettare e rispettare gli altri senza tenere conto delle culture di provenienza, e trasformare quindi le differenze di ciascuna tradizione culinaria in accettazione?

Il facilitatore consegnala la precedente domanda per iscritto a ciascun partecipante e chiede di leggerla, e prima di salutarsi, può invitare i partecipanti ragionarci in vista del prossimo incontro.

La chiusura della sessione di lavoro avviene mangiando tutti insieme, quindi pulendo gli spazi utilizzati e lavando i piatti.

4.5 Quinta Sessione

Gli obiettivi generali della quinta sessione sono:

• lo scambio di conoscenze culinarie e l’incontro tra le tecniche di cucina di tutte le tradizioni
• la valorizzazione delle competenze e delle abilità dei partecipanti e il loro utilizzo per costruire relazioni migliori e comunità più forti preparando insieme e condividendo un pasto improvvisato
• la comprensione che si può mangiare bene senza spendere molto

Il laboratorio inizia facendo un’attività di riscaldamento.
Procurarsi la stampa delle fotografie delle varie fasi della preparazione di un pasto scattate durante la sessione precedente del laboratorio. Mischiarle e chiedere al gruppo di metterle nella sequenza corretta

Preparare i piatti finali della sessione precedente del laboratorio. Il facilitatore decide quali piatti preparare fra quelli che richiedono cottura e quelli che non la richiedono.

Si consiglia di mantenere lo stesso assetto gruppale con la medesima composizione nei sottogruppi che hanno creato le ricette nella sessione precedente.

Finito di cucinare ogni gruppo crea un nuovo piatto improvvisando con gli ingredienti a disposizione, utilizzando verdure, cereali, erbe aromatiche e spezie che il facilitatore avrà preparato in precedenza. Considerato l’assetto di dodici partecipati suddivisi in tre sottogruppi, si suggerisce di proporre ad un gruppo di cucinare un piatto che richiede la cottura e agli altri due di preparare qualcosa che non la richieda.

Ogni gruppo valuta:
• se il piatto è in accordo con i principi del mangiare sano, quanto sia nutriente e quanto sia conveniente
• se integra quante più influenze culinarie possibili dei paesi d’origine di tutti i partecipanti con l’uso appropriato di erbe aromatiche e spezie.

Ovviamente, è a discrezione del facilitatore e dei sottogruppi la possibilità di fare cambiamenti e preparare uno o tutti i piatti.

La risposta mancante.
Conclusa questa prima attività, il facilitatore può riprendere il tema lasciato in sospeso a chiusura della precedente sessione di lavoro, ri modulando al gruppo la domanda se le erbe aromatiche e le spezie possano essere uno strumento per promuovere la comprensione reciproca, per avvicinare le persone, per accettare e rispettare gli altri senza tenere conto delle culture di provenienza, e trasformare quindi le differenze di ciascuna tradizione culinaria in accettazione.

La risposta viene discussa prima nei sottogruppi e poi nel gruppo esteso.

L’attività che segue getta le basi per la creazione delle digital stories.

Gioco: giochiamo con il fuoco

Considerato che il fuoco potrebbe risvegliare ricordi traumatici, si possono apportare delle varianti, per esempio si può usare una clessidra.

L’essenza del gioco è creare in poco tempo una storia chiara e concisa. I partecipanti avranno dieci minuti per pensare alla loro esperienza durante il seminario e ricavarne una storia.
Possono parlare di un’attività, di un sapere che hanno acquisito o condiviso, di persone, di sentimenti o di altro, l’importante è che alla base ci sia una forte emozione. Quindi la storia viene raccontata con un fiammifero acceso fra le dita: bisogna finire prima che sia bruciato completamente. L’obiettivo è raccontare una storia in modo diretto e conciso, mentre si tiene d’occhio il fiammifero. Se il fiammifero si spegne prima che la storia sia finita il narratore deve fermarsi. Il fiammifero che brucia aiuta a concentrarsi sull’essenza della storia e a raccontarla in modo lineare.

Attenzione: il formatore deve avere nozioni di antincendio e assicurarsi che il fumo provocato dai fiammiferi non attivi il sistema di allarme. I narratori dovrebbero avere davanti a loro un bicchiere d’acqua dove poter buttare il fiammifero per evitare di bruciarsi le dita. Si consiglia di usare dei fiammiferi da forno che di norma sono più lunghi.

Questa attività non può essere svolta con i bambini.

Questo gioco si basa sul metodo sviluppato dal progetto “i-DIGital Stories – Stories Educational Learning Facilities”, finanziato dal programma Erasmus + della Commissione Europea.

Dopo avere ascoltato tutte le storie portate dai vari partecipanti, il facilitatore può chiedere ai partecipanti di valutare il seminario su tre semplici assi condividendo:
• una cosa che si è imparato
• una cosa che sarà fatta in futuro in modo diverso
• una cosa che sarà condivisa

La parte culinaria del seminario si chiude condividendo il cibo preparato su una grande tavola, bevendo e ascoltando musica.
Come sempre, si puliscono gli ambienti e si lavano i piatti.

4.6 Sesta Sessione

La sesta e ultima sessione è dedicata al digital storytelling.
Questa sessione vuole essere un ulteriore evoluzione e un trasferimento delle prassi che sono state sviluppate all’interno del progetto “i-DIGital Stories – Stories Educational Learning Facilities”, finanziato dal programma Erasmus + della Commissione Europea.
Per una panoramica più completa dei riferimenti al digital storytelling, il facilitatore dovrebbe approfondire l’aspetto teorico e pratico di questo approccio consultando la Guida “Digital Storytelling in Practice, manuale di formazione per workshop di storytelling digitale”.[1]

[1] Bán D., Nagy B., Digital Storytelling in Practice, training manual for digital storytelling workshops, opera d’ingegno del progetto “i-DIGital Stories – Stories Educational Learning Facilities” finanziato dalla Comunità Europea con il numero 2015-1-IT02-KA204-015181, versione in inglese: http://idigstories.eu/wp-content/uploads/2016/09/Digital_Storytelling_in_Practice.pdf, disponibile in Italiano, Ungherese, Greco e Polacco su www.idigstories.eu

4.6.1 Introduzione

Gli obiettivi della sesta sessione sono dedicati al digital storytelling e puntano ad arricchire ulteriormente l’esperienza dei partecipanti attraverso la costruzione e la condivisione delle storie costruite intorno e durante il laboratorio. Il processo proposto mira ad approfondire la dimensione emotiva per recuperare, enfatizzare e condividere parte del patrimonio culturale dei partecipanti.

Allo stesso tempo, il processo di lavoro permette di acquisire nuove competenze in termini di:
• auto-consapevolezza: la costruzione delle storie all’interno del gruppo facilita la condivisione della dimensione personale.
• narrativa, con la realizzazione delle storie attraverso la scrittura creativa e la digitalizzazione.
• informatica, attraverso il lavoro di digitalizzazione delle fotografie, la creazione degli storyboard e il processo di editing video e audio.

Processi e fasi della sesta sessione
Il facilitatore dovrebbe tenere presente la possibilità che i partecipanti possano essere totalmente o parzialmente inconsapevoli di quello che richiede il processo di digital storytelling. Per questo motivo e per porre le basi di un’esperienza positiva, è importante attenersi alla struttura che segue:
• presentare gli elementi del digital storytelling
• descrivere le fasi del processo e lo schema dei tempi in modo chiaro: quando scegliere le foto, quando scrivere la narrazione e così via …
• fornire nozioni di base su copyright e aspetti legali
• descrivere la fine del processo e spiegare quali possibilità di utilizzo hanno i video con particolare enfasi su salvataggio, eventuale pubblicazione e diritto dell’autore di disporre del proprio prodotto.

In questa fase, i partecipanti dovrebbero familiarizzare con i concetti base e la prassi del digital storytelling, con la struttura narrativa delle storie, con il processo di produzione digitale; è consigliabile visionare insieme al gruppo alcuni video di esempio. Il sito www.idigstories.eu ne offre parecchi suddivisi per tematiche.
Come sempre, è importante che il facilitatore risponda a tutte le domande e dissipi eventuali, riserve o criticità che riguardano il processo di lavoro.

Molto importante:
Il facilitatore deve essere esperto nella conduzione di sessioni di gruppo per essere in grado di affrontare e gestire le diverse dinamiche che potrebbero nascere fra i partecipanti durante le varie fasi del processo di lavoro narrativo.
Come si sa, ogni gruppo ha le proprie dinamiche interne.
Anche se la sessione sul digital storytelling è l’ultima tra quelle previste nel progetto Healthnic e quindi è probabile che molte di queste dinamiche si siano già manifestate, in ogni modo quando i partecipanti entrano emotivamente in contatto con i propri ricordi si possono aprire delle dinamiche potenti.
È fondamentale che il facilitatore sia aperto alla gestione dell’imprevisto e che sia in grado di condurre il gruppo ad affrontarlo.
Si suggerisce di adottare sempre un approccio precauzionale.

Anche se il facilitatore non è uno psicologo qualificato e / o uno psicoterapeuta, deve essere chiaro che la sessione di digital storytelling può generare una reazione emotiva. Per questo motivo è sotto la responsabilità del facilitatore decidere se i partecipanti lavoreranno in gruppo o individualmente per produrre le loro digital stories, e a decidere cosa è meglio per loro e per il programma di lavoro.
Spetta alla competenza, alla qualifica e alla responsabilità del facilitatore occuparsi di eventuali dinamiche emotive che potrebbero nascere durante il processo.
Anche nel caso consigliato in cui il facilitatore fosse uno psicologo, deve essere altrettanto chiaro che la sessione di lavoro non è una esperienza terapeutica di gruppo.

4.6.2 Il cerchio dello storytelling

Come già anticipato, per una completa visione della costruzione di un laboratorio di digital storytelling, si rimanda al sito www.idigstories.eu e alla relativa guida metodologica e pratica.
In ogni caso, la parte iniziale è volta a definire un accordo di gruppo sulla riservatezza nella gestione delle narrazioni che saranno condivise, e nella liceità per i partecipanti di decidere come utilizzare i video che andranno a produrre.
Dopo aver definito i punti dell’accordo di gruppo, e anche se il gruppo si conosce già per l’esperienza delle sessioni precedenti, si consiglia di proporre alcuni giochi e attività di attivazione che hanno l’obiettivo di:
• riscaldare i partecipanti perché siano pronti a cominciare a scrivere le loro storie.
• migliorare il clima di gruppo in modo che i partecipanti possano aprirsi e trovare le loro storie fidandosi e ispirandosi vicendevolmente
• dare avvio al processo che partendo dalle bozze delle loro storie consentirà di arrivare al video finale.

Il processo di scrittura inizia con il cerchio dello storytelling. Per una esaustiva visione delle attività proposte, si rimanda il facilitatore a usare uno dei giochi del digital storytelling presentati nella guida disponibile al sito www.idigstories.eu.

Se il termine “gioco” dovesse essere vissuto come spaventoso, intimidatorio o alienante da alcuni partecipanti con provenienze culturali diverse, è possibile sostituirlo con il termine attività.

Gioco: Fotografie personali, oggetti, ingredienti

A ogni partecipante è richiesto di portare con sé un oggetto, una foto o un ingrediente considerato particolarmente significativo, che sarà scambiato con un altro membro del gruppo. In questo modo ogni partecipante avrà tra le mani un oggetto nuovo e sconosciuto di cui dovrà raccontarne la storia.
Dopo che tutti avranno descritto l’oggetto e raccontato la storia che hanno immaginato questo tornerà nelle mani del proprietario che ne racconterà la vera storia.
È un esercizio interessante che dimostra come lo stesso oggetto possa essere interpretato in modi diversi. Per i partecipanti è anche un’opportunità per liberare l’immaginazione ed iniziare a pensare ad una storia personale da raccontare.

Soprattutto in questa fase del processo, è opportuno che il facilitatore sappia che il ricordo di fatti del passato potrebbe generare una forte tensione emotiva, e che a causa della storia personale dei partecipanti, queste emozioni potrebbero essere particolarmente forti e importanti.

Si raccomanda al facilitatore di prestare attenzione durante questi momenti, per garantire che tutti siano protetti e rispettati attraverso qualsiasi flusso emotivo.
Ricordare sempre che è responsabilità del facilitatore, forte delle sue competenze e qualifiche, gestire e prendersi cura di tutte le dinamiche emotive e del contenuto delle storie.
Per questo motivo è consigliabile che il facilitatore sia uno psicologo e/o un esperto nella gestione di gruppi.

Alla fine del cerchio, tutti i partecipanti dovrebbero idealmente aver trovato nella loro memoria le storie che vogliono raccontare, in modo che si possa procedere con le fasi di scrittura e registrazione.

Vi sono alcuni principi e regole di base che il facilitatore deve seguire e, se necessario, ripetere, per mantenere un clima di protezione all’interno del gruppo.
I principi di base del cerchio dello storytelling sono i seguenti:
• ogni partecipante ha un ruolo attivo, incluso il facilitatore e i collaboratori, se ce ne sono
• nessuno dovrebbe dispiacersi o sentire il bisogno di scusarsi se non capisce qualcosa, o se sente che quanto richiesto va oltre le proprie competenze o non si sente sicuro.
• la fiducia è un risultato che si guadagna con il rispetto, la dignità e la riservatezza: tutto quello che viene detto non può lasciare la stanza
• di conseguenza, non si giudicano le persone o il loro lavoro.

4.6.3 La scrittura

A volte si può pensare che la fase di scrittura sia la più semplice della sessione di lavoro, tuttavia, dato che i partecipanti hanno vissuto esperienze diverse, non è così facile come potrebbe sembrare.
Questa fase permette ai partecipanti di sviluppare e mettere in pratica le seguenti competenze:
• imparare come esprimere i pensieri in maniera sintetica e ben strutturata traducendoli in parole.
• ricevere consigli utili su come scrivere una storia.
• imparare come scrivere una breve storia.
Al termine di questa sessione ognuno avrà scritto un testo semplice e chiaro da leggere durante la fase di registrazione.

Entro la fine del cerchio dello storytelling tutti i partecipanti dovrebbero aver deciso quale storia vogliono raccontare e, nel migliore dei casi, aver preparato anche una prima bozza scritta.
Dopo aver apportato le modifiche necessarie e, all’occorrenza, essersi consultati con il facilitatore, la storia finale e dattiloscritta è pronta per essere letta.

Chi avesse problemi di lettura o non si sentisse a suo agio può raccontare la storia direttamente al facilitatore.

Lo script

Per lo script è meglio pensare a frasi semplici e brevi, avendo cura di usare espressioni e idiomi caratteristici di chi lo scrive.
La lunghezza del testo dovrebbe essere compresa tra le centottanta e le trecentoventi parole.
È consigliabile leggere il testo ad alta voce prima di ritenerlo concluso in modo da rendersi conto della lunghezza finale del video, che dovrebbe essere di circa due minuti.
Tutti dovrebbero disporre del tempo necessario per sviluppare la loro storia.

Per aumentare l’intensità e la rilevanza del lavoro narrativo, è possibile organizzare la sessione di lavoro in modo tale che i partecipanti possano avere la notte a disposizione per pensare alla loro storia prima di ritenerla conclusa. Diversamente, una attenta gestione dei tempi, delle dinamiche e delle pause consente comunque un buon processo di lavoro.

Il facilitatore dovrebbe aiutare non solo chi è in difficoltà nello scrivere la storia, ma anche chi si sente troppo sicuro sé. Alcune persone potrebbero sentirsi sicuri del proprio lavoro e delle storie che hanno scritto, ma quelle stesse storie non sempre risultato altrettanto ben pensate o abbastanza sincere all’ascoltare esterno. In questi casi, come con i partecipanti che sono in difficoltà, il modo migliore di prestare aiuto è porre domande mirate e pertinenti per migliorare la sistematizzazione delle storie senza interferire direttamente con quanto scritto.

Consigli utili per scrivere storie [1]

Tra i consigli che il facilitatore può dare, si suggeriscono i seguenti:
– è meglio non fermarsi a fissare il foglio bianco, ma darsi un limite di tempo e iniziare a scrivere senza giudicare subito il lavoro.
– le parole che si dicono parlando vengono ascoltate una volta sola, a differenza di quelle scritte che possono essere riviste; per questo motivo la chiarezza è importante.
• evitare le ripetizioni a meno che non siano deliberate.
• in ogni caso, è meglio trovare parole diverse, non usare espressioni letterarie o frasi di collegamento come “come ho detto prima”, perché in un video risultano stonate.
• parlare e ascoltare la propria voce non sempre è un’esperienza facile. È importante trovare la propria voce, senza fare imitazioni, cogliendo l’opportunità di aumentare la consapevolezza del proprio gusto nell’usare le parole senza avere paura di usare i propri modi di dire.
• si consiglia di immaginare ciò di cui si sta scrivendo nel modo più dettagliato possibile, dato che si pensa come si scrive e che sentimenti, colori, trame, odori sono immagini materiche.
• nel caso non si possedesse un ricco glossario, si suggerisce di lasciarsi andare. La storia non ha bisogno di essere raccontata in modo rigidamente lineare, anche se deve avere un inizio, una fase mediana e un finale. Incominciare dalla parte più avvincente. Potrebbe trovarsi in un punto qualsiasi della storia.
• si consiglia di ricordare che si sta lavorando sulla narrazione di un ricordo, non a un documentario, i partecipanti possono non essere troppo attaccati ai fatti esatti e non lasciarsi intralciare dalla verità.

[1] Raccomandazioni di Gilly Adams, direttore dell’unità di sviluppo della scrittura della BBC Wales, per scrivere le storie su carta.

Per la parte di rifinitura e completamento della storia, il facilitatore suggerisce al gruppo di:
• raccontare la propria storia agli altri per avere un parere su cosa funzioni e cosa no, sul livello di chiarezza per chi ascolta, e sulla presenza di un fatto importante
• ricordare che “Meno è meglio”: non essendo narratori di professione, è importante che i partecipanti siano consapevoli che potrà capitare di scrivere e riscrivere la stessa storia. Essere severi quando si corregge la propria storia, senza però esagerare: è importante focalizzarsi sull’essenza della storia, provando ad esprimerlo con una sola frase, e quindi assicurarsi di non avere scritto qualcosa di inutile. Tutto nella storia contribuisce a farla funzionare.
• evitare i cliché e la banalizzazione dei sentimenti, sostituendole frase fatte con espressioni nuove.
• se generalizzare è ozioso e inconcludente, il dettaglio ben descritto è ciò che risalta in una storia.
• ogni storia ha bisogno di una struttura in cui il finale deve avere una qualche connessione con l’inizio per dare soddisfazione a chi l’ascolterà. Per questo è consigliabile strutturare dei punti rilevanti intorno a cui costruire la narrazione. Assicurarsi di non aver tralasciato un passaggio importante.
• le storie hanno per così dire, vita propria, sicché occorre trattare la propria storia con rispetto, come se fosse la migliore del mondo.

4.6.4 La registrazione

Gli obiettivi di questa fase di lavoro sono:
• imparare le basi per la registrazione della voce.
• preparare tutti gli elementi necessari per la realizzazione di un video.
• eventualmente acquisire buone pratiche per cercare fotografie e video sul web.

La registrazione della voce
La parte tecnica del laboratorio di digital storytelling incomincia con la registrazione della voce.
Sia la qualità tecnica che la “percezione soggettiva” della voce registrata sono fondamentali per il successo del digital storytelling. Il facilitatore dovrebbe assicurarsi di trovare un luogo appropriato per la lettura e la registrazione delle storie, ovvero un luogo appartato e silenzioso in cui il partecipante possa concentrarsi.

Trovare il posto giusto per la registrazione vocale non è banale, vale la pena di conoscere alcuni trucchi pratici. Per assorbire l’eco occorre cercare una stanza in cui l’arredamento sia composto da poltrone morbide e sedie imbottite, dove ci sia un tappeto che copre tutto il pavimento e molte tende. Per testare la qualità sonora di una stanza basta battere le mani e ascoltare se l’eco viene assorbito. Se battere le mani non genera alcun eco il risultato è perfetto anche se non siete in un luogo insonorizzato.
In ogni caso, occorre escludere il più possibile i rumori esterni e accertarsi che non ci siano strade rumorose, sentieri affollati, corridoi o dispositivi elettrici in modalità standby nelle vicinanze o un ascensore. Tutto ciò che è udibile per l’orecchio umano sarà udibile anche nella registrazione, diminuendo la resa della narrazione.

Dal momento che un testo non registrato con le appropriate attenzioni può rovinare l’intero video, ci sono alcuni consigli che si possono comunque seguire: può essere piuttosto efficace registrare all’interno di una macchina, parcheggiata in un posto tranquillo, con porte e finestrini chiusi, oppure in uno sgabuzzino. In ogni caso si consiglia di fare delle registrazioni di prova prima di quella definitiva per verificare chiarezza e qualità.

Mentre si registra i telefoni cellulari devono essere completamente spenti: la modalità silenziosa non è abbastanza perché le onde radio generate dal telefono possono interferire con la registrazione. In ogni caso, i cellulari vanno posizionati il più lontano possibile dal registratore. La scelta migliore è non portarli nella stanza. Per lo stesso motivo, il registratore deve essere collocato nella posizione più lontana possibile da tutti i tipi di dispositivi elettromagnetici: computer acceso, telefono, radio, modem, e così via.

Il facilitatore si assicura che il narratore segua il testo e segnala eventuali errori. Non è un problema se non si ottiene una registrazione completa senza errori: poiché gli errori possono essere facilmente corretti durante l’editing.
In caso di difficoltà a leggere interamente la storia, è suggeribile suddividerla in singole frasi che saranno registrate con delle pause brevi, mantenendo in questo caso la voce costante per tonalità e volume.

Se si commette un errore bisogna ripetere la frase, o il paragrafo dall’ultima pausa fatta, per non avere interruzioni durante l’editing dell’audio. È sempre meglio evidenziare sulla carta le parti in cui si sono fatti errori leggendo, serve da promemoria su dove effettuare la correzione durante l’editing della registrazione.

Il facilitatore ascoltando il testo con un “orecchio esterno” può dare suggerimenti al narratore su come adattarlo allo stile della storia.

Per una persona che non lo fa di mestiere leggere un testo può diventare un’impresa difficile. Di solito alle persone non piace ascoltare la propria voce registrata, che viene percepita come strana. Se non si è soddisfatti della registrazione non esitare a ripetere il processo fino a che non si trova la propria voce.

Una regola di base della registrazione è di farne almeno due del testo completo.

Registrazione delle immagini (digitalizzazione, scattare fotografie)

La fase di registrazione include la digitalizzazione di fotografie (disegni, figure, e così via) e, se necessario, lo scattarne di nuove. Parte delle fotografie usate nel processo di digital storytelling possono essere su carta, e nel caso devono essere scannerizzate per l’uso digitale su computer.
Per lo storytelling possono essere anche usate fotografie scattate con la fotocamera digitale, scaricate da internet o dai social media.

Quando vengono usate fotografie prese dal web bisogna tenere in considerazione due aspetti importanti: la qualità dell’immagine (dimensioni e risoluzione) e il copyright.
Evitare di usare fotografie scattate da persone che non conosciamo.
In ogni caso è necessario verificare che siano scaricabili liberamente e siano senza copyright (come una licenza cc-creative commons) e che non riprendano persone riconoscibili.
Se è necessario scaricare fotografie da un social media, utilizzare solo quelle che ci riguardano o di persone che conosciamo, in questo caso, prima che siano condivise pubblicamente, è necessario comunque ottenere l’autorizzazione delle persone interessate.
Assicurarsi che le fotografie, che siano scaricate da internet, scattate su un dispositivo digitale o scannerizzate, abbiano un’alta risoluzione (almeno 1280×720 pixel, 300 dpi; formato JPEG o TIFF).

Per un video della durata di circa due minuti il numero delle fotografie dovrebbe essere compreso fra le quindici e le venti, meno fotografie renderebbero la storia troppo lenta, se fossero di più sarebbe troppo rapida e frettolosa. È importante scegliere il giusto numero di fotografie fra quelle che si hanno a disposizione.

Videoclip, musica

All’interno dei video di digital storytelling è possibile inserire videoclip, musica e altri effetti sonori.
Il loro uso è giustificato solo nel caso in cui l’aggiunta di un elemento audio sia in stretta connessione con la storia e ne amplifichi il messaggio o la comprensione.
Nel processo di editing, il facilitatore deve avere estrema cura nella gestione della combinazione di questi tre elementi che non devono distrarre l’attenzione dello spettatore dalla storia.
Il volume della musica e degli effetti non deve in ogni caso sovrastare la voce del narratore e non deve pregiudicare l’effetto generale e la capacità comunicativa del video.
Un videoclip o un effetto mal scelti o regolati male (suono-mix), possono compromettere il potenziale del video, rovinare qualche passaggio particolarmente importante e, in casi estremi, mettere in dubbio il messaggio che si vuole trasmettere.

Ogni volta che si usano materiali presi dall’esterno, (videoclip, musica, effetti speciali), bisogna sempre tenere in considerazione i diritti di autore.
Qualsiasi musica, effetto sonoro o videoclip che non è stata creata da noi, non è di dominio pubblico e non è Creative Commons (copyright free), è vincolata al copyright e / o al permesso dell’autore, e quindi non può essere in alcun modo utilizzata.

4.6.4.1 Lo storyboard

Al termine del processo di scrittura si passa al momento di creazione dello storyboard, che costituisce la base per il successivo editing audio e video.

Il processo di creazione dello storyboard si basa su:
• l’organizzazione degli elementi che sono stati raccolti e creati per raccontare la storia e la produzione del video.
• la confidenza con la pratica dello storyboard e la sua utilità.
• la combinazione di parole e immagini.
• l’importanza della comunicazione visiva.

È utile per i partecipanti creare un storyboard partendo dai propri script e fotografie.
Si tratta di una semplice tabella di due colonne, una per le immagini e una per il testo, e di tante righe quante sono le immagini accanto alle quali, nella colonna dedicata, viene riportato il testo che si vuole far corrispondere.

Può essere realizzato con un software dedicato, ma anche semplicemente su carta, utilizzando qualunque mezzo che faccia corrispondere le immagini alla storia.
Il facilitatore sceglierà quello che ritiene più appropriato.
In appendice si trovano uno script e uno storyboard di esempio.

Lo schema dello storyboard visualizza la proporzione fra testo e immagini. Mentre si immagina e si scrive la storia, è facile calcolare male la quantità di immagini davvero necessarie, ma dopo aver finito lo storyboard diventa chiaro se ci sono abbastanza fotografie per l’intera durata del video e se sono distribuite in modo proporzionale, in base al loro pathos.

In generale per una fotografia sono sufficienti poche frasi, in modo da ottenere un video con un ritmo uniforme e facile da seguire. Naturalmente possono esserci delle eccezioni a questa regola se il ritmo emotivo e la drammaturgia della narrazione e del video lo richiedono.

La fase dello storyboard è facoltativa, tuttavia può essere di aiuto per i partecipanti che hanno la possibilità di visualizzare la storia prima dell’editing, rendendo così più facile apportare modifiche evitando di dover imparare tutte le opzioni di un software che si sta utilizzando per la prima volta.

4.6.5 Editing

La sessione di lavoro dedicata all’editing consente l’implementazione delle competenze informatiche dei partecipanti, in quanto permette di aumentare:
• le competenze di base nell’editing di suoni, immagini e video.
• le competenze di base ICT utilizzando il software di editing scelto.
• la capacità di creare un video raccontando una storia personale.
• il senso di soddisfazione che può dare la creazione di un video.

Sarà cura del facilitatore introdurre i partecipanti al lavoro di editing. Per ottenere una digital story è necessario passare attraverso diverse fasi di editing:
• la registrazione deve essere manipolata per eliminare gli errori e le interruzioni, una volta completato questo lavoro la voce fuori campo è pronta per diventare la spina dorsale della narrazione
• le immagini devono essere editate, ovvero tagliate dove necessario, con il giusto contrasto, e così via
• la traccia vocale editata e ripulita, le foto adattate e il titolo di apertura combinati insieme vanno a comporre la digital story.

Il video può essere realizzato dal facilitatore con la collaborazione del narratore e lo storyboard come supporto, tuttavia, avendo appreso le abilità di base del processo di editing, i partecipanti potrebbero essere in grado di creare in autonomia le proprie digital stories.

Sul mercato e su internet si trovano numerose applicazioni software di editing con versioni che vengono spesso aggiornate o modificate.
Per questo motivo, e in considerazione del fatto che su PC e MAC i programmi sono comunque differenti, il presente manuale non vuole fornire un aiuto tecnico specifico.
Si trovano anche, disponibili gratuitamente, applicazioni software per l’editing di audio e video, tuttavia non sono sempre compatibili tra loro oppure vengono richiesti processi separati per la modifica della voce e delle immagini.
Esistono anche sistemi di editing online, che comunque richiedono un accesso a Internet a banda larga per tutta la durata del processo di lavoro. Possono anche essere utilizzati software di editing più complessi da installare sul computer che, nonostante siano piuttosto complicati, di solito offrono una soluzione pratica per la realizzazione del video.

La scelta del software dipende dalle competenze tecniche dei partecipanti o dal luogo in cui si tiene il laboratorio. La presenza di una stanza dedicata all’informatica potrebbe garantire l’assistenza tecnica necessaria.
In definitiva, i mezzi tecnici e i processi di editing e produzione dei video dipendono dal software utilizzato, dal facilitatore e dai narratori. Segue qualche consiglio di ordine generale e alcune linee guida:

• il facilitatore deve avere familiarità con il software utilizzato.
• all’inizio del laboratorio deve essere controllato lo stato tecnico di tutti i computer da utilizzare durante la fase di editing e di montaggio, assicurandosi che siano compatibili con il software scelto.
• i preparativi tecnici non dovrebbero rubare tempo alla fase di editing: un assistente può provvedere durante lo svolgimento dei laboratori precedenti
• ai partecipanti deve essere presentato l’intero processo di editing all’inizio della formazione tecnica, e gli deve essere spiegato passo dopo passo come produrre i propri video con il software fornito.
• durante la presentazione i partecipanti devono prestare attenzione solo al facilitatore; in questa fase non dovrebbero poter provare ciò che stanno ascoltando sui loro computer.
• i partecipanti avranno tempo a sufficienza per familiarizzare con il software e creare il loro video con i loro tempi.
• il facilitatore dovrebbe dare assistenza ai partecipanti, se necessario, fornendo un consiglio sulla resa del video o aiutandoli con la parte tecnica.
• il video deve avere un titolo che sarà visibile all’inizio. Inserire il nome dell’autore è facoltativo.
• è importante che le fotografie abbiamo la giusta risoluzione: immagini di bassa qualità o sgranate rovinano l’effetto generale.
• evitare di usare troppi effetti visivi. Gli effetti digitali (il leggero spostamento di immagini fisse, le transizioni tra le foto, il mettere in evidenza determinati dettagli, e così via) possono aiutare a rendere la storia più simile a un film, ma dovrebbero essere usati solo se giustificati. Il facilitatore può dare consigli sull’uso degli effetti digitali, ma è fondamentalmente una questione di gusti.
• se l’autore si blocca perché ha dei dubbi sul video e non riesce a concluderlo è consigliabile che qualcun altro lo veda, preferibilmente il facilitatore.
• una volta terminato il lavoro vale la pena salvare il video con una qualità abbastanza buona, assicurandosi però che il file non sia troppo pesante; si consigliano i seguenti formati: mov, mp4, mpeg, avi, dal momento che il video in futuro potrebbe essere pubblicato su internet.

È facile sottostimare il tempo necessario all’editing di un video. Sebbene sia fondamentalmente un singolo processo tecnico, la creatività gioca un ruolo chiave sul risultato finale. L’editing è comunque un processo gratificante e divertente, come quando il video inizia a prendere forma unendo diversi elementi, o quando acquista un nuovo slancio e un nuovo significato dopo un piccolo cambiamento. Un piccolo aggiustamento nel montaggio può avere un enorme effetto sul risultato.

Terminato il processo di editing il video è pronto, il software di editing “unisce” (esporta) insieme gli elementi in base ai parametri specificati, producendo così un file video (mov, mp4, mpeg, avi, e così via), che può essere presentato o condiviso con il pubblico in qualsiasi momento.

4.6.6 Condivisione (proiezione privata)

Questa fase della sessione di lavoro è dedicata alla condivisione dei risultati. A seconda di quanto pianificato, questa parte si può svolgere alla fine della giornata di lavoro o come parte di un incontro finale totalmente dedicato al feedback, alla valutazione e alla restituzione dell’esperienza comune.
Questa parte del processo è dedicata a:
• condividere i video da parte dei partecipanti.
• imparare come aprire e condividere un video.
• rafforzare la consapevolezza che ognuno è portatore di una grande forza, e che ciò che sembrano impossibili in un primo momento, può diventare possibile

Le digital stories sono fatte per il piacere del processo creativo, ma possono anche essere condivise con gli altri, ogni autore variare dal condividerlo con gli altri partecipanti al laboratorio al metterlo in rete.
A conclusione del processo tutti i video prodotti durante il laboratorio vengono proiettati. La proiezione è il coronamento del duro lavoro dei partecipanti. È un momento comunque delicato, in cui l’occasione di festa quando il narratore esce dal mondo chiuso della creazione e si mostra davanti agli altri può essere accompagnata dal timore del palcoscenico e dall’ansia.

Il facilitatore dovrebbe sforzarsi di rendere la proiezione un evento degno della sua importanza. La stanza dovrebbe essere sistemata in modo che lo schermo possa essere visto da tutti e oscurata, se necessario. Utilizzare apparecchiature video e audio di alta qualità.

Il facilitatore dovrebbe introdurre ogni video con poche parole personali, al fine di dissipare il disagio del narratore e assicurarsi che il lavoro riceva la giusta attenzione.
In questa fase il facilitatore dovrebbe astenersi da qualsiasi osservazione critica e non deve dare agli altri partecipanti l’opportunità di farlo.
Tutti i partecipanti devono essere presenti alla proiezione.

4.6.7 Debriefing

Questo passaggio finale è importante quanto il primo, perché una chiusura chiara e onesta della sessione permetterà ai partecipanti di valorizzare i loro sforzi e potenziare la lezione appresa.
Durante questo passaggio è importante che il facilitatore condivida anche la sua parte emotiva insieme al feedback e alla restituzione dell’intero lavoro svolto.
I momenti importanti della fase di debriefing includono:
• discutere l’intero processo del laboratorio,dai laboratori di cucina al digital storytelling
• condividere l’esperienza del processo
• fare chiarezza sull’uso che verrà fatto dei video creati

La chiusura del laboratorio di digital storytelling è una breve discussione di gruppo dove ogni partecipante fornisce un feedback sull’intero processo al gruppo e al facilitatore. È un momento per condividere esperienze personali, non un’occasione per parlare soltanto dei video finiti; e le critiche sono assolutamente fuori questione.

Nel cerchio di chiusura tutti i partecipanti hanno l’opportunità di dire qualcosa, e il facilitatore e gli assistenti sono compresi nella condivisione. Per incoraggiare i partecipanti a parlare, possono essere invitati a raccontare:
• una cosa che hanno imparato.
• una cosa che avrebbero fatto in modo diverso.
• una cosa che vorrebbero condividere

Durante il debriefing, dovrebbe essere chiarito cosa verrà fatto con i video.
Il video finito è proprietà intellettuale del suo creatore e in futuro potrà essere utilizzato solo con un permesso diretto ed esplicito, preferibilmente scritto (in appendice viene proposto un modulo).
È l’autore che decide chi può vedere il video.

In linea di massima, il permesso può variare tra:
• rifiuto totale: nessuno potrà vederlo oltre la conclusione del laboratorio
• permesso parziale: il video è disponibile per un pubblico limitato, ad esempio per scopi educativi
• il pubblico più ampio possibile attraverso Internet.

Il facilitatore deve rassicurare i partecipanti che possono cambiare o revocare il permesso scritto in qualsiasi momento.
Ciò significa che possono dare il permesso di pubblicare il film su internet e richiederne in seguito la rimozione, ad esempio da un sito web gestito dal facilitatore.

Dopo la fase finale del debriefing, potrebbe esserci una proiezione pubblica facoltativa se i partecipanti sono d’accordo. Il facilitatore deve chiedere il permesso ai partecipanti di proiettare i loro video pubblicamente. In questo modo le altre persone (familiari, amici, e così via) possono, oltre che guardare i video, conoscere e condividere l’esperienza dei partecipanti e il progetto.

4.6.8 Proiezione pubblica (opzionale)

Questo passaggio è totalmente facoltativo e dipende fondamentalmente da due condizioni: l’approvazione data o meno dai partecipanti a condividere i loro video di digital storytelling e l’opportunità di mostrare i video pubblicamente.
Nel caso questa opzione sia inclusa nel programma di lavoro, gli obiettivi devono essere:
• condividere l’esperienza del progetto Healthnic con un pubblico più vasto.
• diffondere la conoscenza acquisita di una sana dieta multiculturale.
• allargare la cerchia sociale dei partecipanti.
• creare un senso di appartenenza.

Questo dovrebbe essere un evento gioioso che potrebbe essere accompagnato da cibo e musica.

In fondo, il progetto Healthnic parla proprio di questo: interazione in un ambiente multiculturale e acquisizione di conoscenze culturali, consapevolezza e comprensione reciproca attraverso il cibo.

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-Diamond (Digital storytelling in museums): http://www.diamondmuseums.eu/project.html

-IntegrArt (Digital stories with immigrants): http://fotomemoria.eu/integrart/?page_id=8

-X-story (Digital storytelling in schools): http://www.storycenter.hu/x-story/

-More links: http://www.freeeslmaterials.com/digital_storytelling.html

-Guide for digital storytelling: http://www.schrockguide.net/digital-storytelling.html

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